Dove eravamo rimasti?

4 anni fa stavo passando un periodo all’estero, più o meno come adesso, e, più o meno come adesso, c’erano le elezioni americane. Fondamentali, storiche, epocali, come tutte le elezioni americane, del resto, che devono tenere appassionate centinaia di milioni di persone per più di un anno, e sono quindi costrette a inventarsi come il più grande show del pianeta, con personaggi, vicende e colpi di scena all’altezza dei migliori film di Hollywood. Non per niente questa campagna elettorale è stata la copia sputata di quella raccontata nella settima serie di The West Wing: un giovane parlamentare democratico proveniente da una minoranza etnica vince inaspettatamente le primarie e finisce per battere anche l’avversario repubblicano, un anziano centrista noto per le posizioni eccentriche rispetto al suo partito. Niente di nuovo sotto il cielo, eh?

In ogni caso, 4 anni fa ci si scambiava mail e impressioni. Altri 4 anni di Bush sembravano davvero troppi. Ale scrisse:

Ci è toccato lo sbirro cattivo, l’imperatore pazzo invece di quello crudele e basta. Signori e signore, compagni e compagne, cittadini e cittadine, commentatori e commentatrici: noi prendiamo atto e abbassiamo lo sguardo tra i colleghi sudditi.
Non è tra le (splendide, figuriamoci) pietre del Vermount che risiede la speranza di cambiamento. Torniamo coi piedi per terra, ma nel senso di tornare a sognare. Anzi, torniamo a ragionare. Siamo controllati dagli Stati Uniti, non ci viviamo dentro. Siamo trattati da sudditi ma non basta per renderci tali.
E, inspirate, i processi storici sono più ampi di una federazione di stati che ha appena duecento anni di vita e si svolgono anche al suo esterno. Basta distoglere l’inquadratura da questo fesso primo piano e inquadrare tutto: si vede l’orizzonte. Per il sole nascente c’è da aguzzare bene la vista, è notte fonda.
Ma almeno qualche torcia è accesa, e minaccia l’incendio.

Chavez in Venezuela stravince le amministrative. Lula in Brasile si riconferma con il Partito dei Lavoratori, a parte in alcune roccaforti come Porto Alegre che passano (ma è possibile?) alla sinistra Comunista. L’Uruguay dopo un secolo e mezzo passa alla Sinistra del Frente Amplio, in cui ci sono anche gli ex Tupamaros. L’Argentina è a sinistra. Il Chile è al centro-sinistra. In Colombia le Farc sparano.
Cuba Resiste!

Tra poco un apposito post cercherà di spiegare perché comunque penso che stavolta sia successo qualcosa di storico. Intanto, ricordiamocelo: il mondo non finisce sul Rio Bravo. La più grande democrazia del mondo è l’India. Chi le ha vinte le elezioni in India?

3 Responses to Dove eravamo rimasti?

  1. dedalus ha detto:

    qualcosa di storico, già.. per una volta siamo d’accordo, mi sarei stupito del contrario. tutto è nuovo sotto il cielo d’America. speriamo che un po’ di quell’aria arrivi fino al nostro di cielo. oggi possiamo dirlo senza vergogna, senza remore: speriamo.

  2. tomate ha detto:

    una cosa di cui non mi capacito è che ogni quattro anni dopo lo svolgimento delle elezioni americane i nostri giornalisti commentano euforici “un’altra gande prova di democrazia”, “la più grande democrazia del mondo”, “dimostrazione del trionfo della democrazia”, “lezione di democrazia” etc. Eh? Che è successo? A me sembra solo che si siano svolte le elezioni regolarmente, ogni quattro anni succede di consuetudine e mi stupirei del contrario. Poi potremmo chiederci come funziona l’accesso alla politica in America, come funziona la propaganda a partire dalla scuola, il sistema dei finanziamenti privati e delle lobby etc. e chiederci veramente se la più grande democrazia del mondo sia una democrazia.

  3. masaccio ha detto:

    No, non credo che “tutto sia nuovo sotto il cielo d’America”. Per quanto mi riguarda è rilevante il colore della pelle del presidente. Il resto cambia poco.

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