In fondo questa è diventata, nostro malgrado, la specializzazione di malingut, a pensarci bene.
Grazie a Scriptabanane.
In fondo questa è diventata, nostro malgrado, la specializzazione di malingut, a pensarci bene.
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Pubblicato da masaccio
Ora viene fuori che Obama non è nero. Cioè, sì, è nero, non si può negare, ma non è questo il punto, dicono alcuni, e anzi, insistono, sottolineare il dato razziale è da razzisti.
I due principali sostenitori di questa tesi, nella blogosfera, sono stati Luca Sofri e Filippo Facci.
Sofri:
Il discorso di McCain era invece secondo me antipatico per una ragione soprattutto: l’insistenza da subito sulla questione della razza. Ho l’impressione che tutti gli sconfitti e gli insoddisfatti di questo risultato stiano facendo buon viso a cattivo gioco fingendosi lieti di un aspetto che li esime da conflitti e responsabilità, e dal riconoscimento di altri sensi della vittoria. Adesso, improvvisamente, sono tutti contenti per i fratelli neri. È tra l’altro un altro dettaglio in cui si sente la grande differenza – anche generazionale – tra chi è contento che abbia vinto Obama perché è nero e chi è contento che abbia vinto Obama e non gliene è mai fregato niente che fosse nero. Insistere sul fatto che questa sia una grande vittoria contro il razzismo è riduttivo e antipatico: significa definire la grande campagna di Obama e il suo messaggio attraverso l’unico tratto involontario, ovvero il suo essere nero. Significa dirgli, dopo tutto quello che ha fatto e detto, “ehi, sono proprio contento per te e per tutti i neri, ve lo meritavate”. C’è un paternalismo insopportabile in tutto questo.
Certo antirazzismo è solo un razzismo visto di spalle, un razzismo in buona fede. Controllate: solo i titoli dei giornali italiani si sono soffermati così tanto sul colore delle pelle di Obama; il Riformista con «L’uomo nero», Libero con «Strano ma nero», il Manifesto con «Indovina chi viene a cena», il Giornale con «l’America cambia pelle», Liberazione addirittura con «Black Power»: e via così.
E’ provincialismo, certo, ma è anche una forma di razzismo blando e inconsapevole, a fin di bene: perchè il razzismo non è solo l’essere intolleranti con il diverso, ma è anche il sottolineare ogni volta che comunque è diverso. E’ lo stesso Obama a non aver fatto della sua razza un’identità politica, anzi, ha detto che l’epoca delle identità declinate in politica lui vorrebbe chiuderla: è americano, punto. L’ex atleta Fiona May, sul Corriere, ha detto una cosa giusta a metà: «Sull’integrazione gli italiani sono 20-30 anni indietro rispetto a inglesi e tedeschi e francesi». Ecco: non parlerei tanto degli italiani ma chi li rappresenta, classe giornalistica in primis, antirazzismo identitario in primis. Il razzismo non sarà sconfitto quando avremo presidenti anche asiatici, portoricani o di Montenero di Bisaccia: ma quando l’etnia originaria sarà irrilevante. Negli Usa ha vinto un uomo di colore, ed è uno straordinario punto d’arrivo: ma il prossimo grande balzo, per l’umanità, sarà non notarlo neppure.
Discorsi affascinanti e accattivanti, fatti per far sentire in colpa il lettore di sinistra, che non vuole considerarsi razzista. Ma in realtà è un discorso sentito mille volte: è lo stesso discorso di quelli che criticano l’antimafia perché si sopravvaluta la mafia invece di ignorarla, di quelli che attaccano le femministe perché difendono solo le donne, ecc. ecc.
Si tratta cioè del solito vecchio discorso integrazionista-liberaloide, secondo cui siamo già tutti uguali e la differenza va cancellata dal campo politico. Ecco: ‘sti cazzi.
L’antirazzismo non è negare l’esistenza delle discriminazioni razziali, ma la militanza attiva per combatterle. Del resto con questa logica Sofri e Facci considererebbero razzisti anche Malcolm X e le Black Panthers, e in generale tutti i movimenti che hanno lavorato per organizzare e promuovere il potere nero. Non la faccio tanto lunga con il pensiero della differenza, il momento separato, ecc., perché gli anni ’70 sono finiti e neanch’io condivido tutta quella roba lì. Però negare la differenza assoluta che un presidente nero rappresenta rispetto al passato mi sembra ridicolo.
Ma come, non avevo anch’io parlato del presidente beige, del candidato post-razziale, ecc.? Certo. Ho scritto che Obama non si è presentato come un leader nero. Ma ho anche scritto che è nero. Che si vede non solo dal colore della sua pelle, ma dal nome che ha, dal saluto pugno contro pugno a sua moglie, dal bianco dei denti che sporgono dal sorrisone, dalla voce. E chiunque ha sentito il discorso della vittoria, soprattutto la seconda parte, non può non aver pensato, a un certo punto, che sarebbe sceso James Brown dal cielo e che il pubblico si sarebbe messo a gridare “Io ho visto la luce!”… Perché era proprio retorica da sermone protestante, con il pubblico che commenta ad alta voce e strilla “Sì, fratello!”, la stessa cosa da cui viene fuori l’hip hop e tutto quel mondo lì.
Obama non si è presentato come il candidato nero, perché se il candidato di una minoranza si pone in rappresentanza di quella minoranza non può pretendere un consenso maggioritario, molto semplicemente. I neri sono pochi, lui doveva essere in grado di rappresentare gli americani. Il suo messaggio era: sono nero, e proprio perché sono nero ma sono anche bianco, con la mia laurea ad Harvard, posso rappresentare tutti, posso rappresentare l’America perché l’America è il posto dove il nero si laurea ad Harvard e può anche fare il presidente.
Dire, come dice Facci, che il vero antirazzismo sarebbe “non notarlo neppure” è tremendamente ipocrita. Perché allora la sconfitta del razzismo sarebbe un mondo in cui i neri votano docilmente i candidati bianchi, perché tanto non è la razza che importa. Se veramente non è la razza che importa, allora intanto eleggiamo un nero. Poi vediamo. Poi vediamo se in giro per il mondo c’è chi dice che è abbronzato. Ma quella è carineria, giusto?
È stato rotto un tabù epocale, come ha ben sintetizzato Leonardo, e chi sostiene il contrario, affermando, come Sofri, di appartenere a una generazione a cui “non gliene è mai fregato niente che fosse nero”, dice semplicemente il falso. Se davvero essere nero è un carattere come un altro, come avere gli occhiali o essere bassi di statura, mi spiegate perché ci sono stati presidenti con gli occhiali o bassi di statura ma mai un nero? Mi spiegate perché le carceri americane sono piene di neri e non di tipi con gli occhiali o bassi di statura? Mi spiegate perché non esistono gruppi che teorizzano la superiorità delle persone alte e che vedono dieci decimi? Le discriminazione razziali, in questa società, esistono. E chi non le vede non è più avanti: è cieco o in malafede.
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Pubblicato da masaccio
Tanto per cambiare, è la striscia quotidiana di Doonesbury a segnare il punto, più di mille editoriali.
Per quanto mi riguarda, l’unico dato realmente epocale, in queste elezioni, è quello razziale. Di Obama si dicono 3 cose: che è giovane, nero e di sinistra. Quella dell’età mi sembra una stupidaggine: Clinton era più giovane, per non parlare di Kennedy o di Teddy Roosvelt, e i due presidenti più odiati in giro per il mondo, Bush e Nixon, non sono stati eletti con molti anni in più. E sulla linea politica preferirei stendere un velo pietoso: in politica interna Obama ha giurato e spergiurato che non intende costituire un servizio sanitario nazionale né usare le tasse per combattere la disuguaglianza, e in politica estera ha assicurato che si riserverà il diritto di attaccare liberamente chiunque riterrà pericoloso per gli Usa. Obama ha forti radici nell’idealismo democratico, nella tradizione dei diritti civili che è ormai da decenni l’anima del centrosinistra americano. Ma è stato eletto presidente di una nazione in cui è la destra conservatrice nei valori e liberale in economia ad avere l’egemonia. Lo sa, e sarà un presidente americano, più che un presidente democratico. Leggi il seguito di questo post »
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Pubblicato da masaccio
4 anni fa stavo passando un periodo all’estero, più o meno come adesso, e, più o meno come adesso, c’erano le elezioni americane. Fondamentali, storiche, epocali, come tutte le elezioni americane, del resto, che devono tenere appassionate centinaia di milioni di persone per più di un anno, e sono quindi costrette a inventarsi come il più grande show del pianeta, con personaggi, vicende e colpi di scena all’altezza dei migliori film di Hollywood. Non per niente questa campagna elettorale è stata la copia sputata di quella raccontata nella settima serie di The West Wing: un giovane parlamentare democratico proveniente da una minoranza etnica vince inaspettatamente le primarie e finisce per battere anche l’avversario repubblicano, un anziano centrista noto per le posizioni eccentriche rispetto al suo partito. Niente di nuovo sotto il cielo, eh?
In ogni caso, 4 anni fa ci si scambiava mail e impressioni. Altri 4 anni di Bush sembravano davvero troppi. Ale scrisse:
Ci è toccato lo sbirro cattivo, l’imperatore pazzo invece di quello crudele e basta. Signori e signore, compagni e compagne, cittadini e cittadine, commentatori e commentatrici: noi prendiamo atto e abbassiamo lo sguardo tra i colleghi sudditi.
Non è tra le (splendide, figuriamoci) pietre del Vermount che risiede la speranza di cambiamento. Torniamo coi piedi per terra, ma nel senso di tornare a sognare. Anzi, torniamo a ragionare. Siamo controllati dagli Stati Uniti, non ci viviamo dentro. Siamo trattati da sudditi ma non basta per renderci tali.
E, inspirate, i processi storici sono più ampi di una federazione di stati che ha appena duecento anni di vita e si svolgono anche al suo esterno. Basta distoglere l’inquadratura da questo fesso primo piano e inquadrare tutto: si vede l’orizzonte. Per il sole nascente c’è da aguzzare bene la vista, è notte fonda.
Ma almeno qualche torcia è accesa, e minaccia l’incendio.Chavez in Venezuela stravince le amministrative. Lula in Brasile si riconferma con il Partito dei Lavoratori, a parte in alcune roccaforti come Porto Alegre che passano (ma è possibile?) alla sinistra Comunista. L’Uruguay dopo un secolo e mezzo passa alla Sinistra del Frente Amplio, in cui ci sono anche gli ex Tupamaros. L’Argentina è a sinistra. Il Chile è al centro-sinistra. In Colombia le Farc sparano.
Cuba Resiste!
Tra poco un apposito post cercherà di spiegare perché comunque penso che stavolta sia successo qualcosa di storico. Intanto, ricordiamocelo: il mondo non finisce sul Rio Bravo. La più grande democrazia del mondo è l’India. Chi le ha vinte le elezioni in India?
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Pubblicato da masaccio