Voglia di vincere

aprile 5, 2011

È risaputa la scarsa considerazione che, per quanto mi sia simpatico, nutro per Giuseppe Civati e per i suoi (molto peggio di lui) sodali.

Però da qualche giorno il nostro sta ripetendo con una certa insistenza una cosa interessante e importante. Dice Civati che

Giuliano Pisapia, dicono i sondaggi, può vincere le elezioni e, tra due mesi esatti, potrebbe essere sindaco di Milano. Non tutti i milanesi, nemmeno quelli di centrosinistra, sembrano esserne del tutto consapevoli, ma le cose stanno così. Moratti è in difficoltà, il Terzo Polo (Palmeri) e il Quarto (Grillo) condurranno i due principali candidati al ballottaggio.

Oggi l’ha scritto perfino Europa. Non la Pravda:

Se tutto questo è vero non si comprende la strana freddezza con cui il Pd guarda alle prossime amministrative sotto la Madonnina. Un misto di diffidenza e scetticismo che fa a pugni con i sondaggi di quasi tutti gli istituti di ricerca che, per la prima volta da molti anni, dicono che il miracolo a Milano è possibile, che Giuliano Pisapia può farcela. Naturalmente è giusto essere prudenti sui sondaggi. Una percentuale assai alta di indecisi autorizza qualsiasi previsione.
Però anche l’idea del premier di presentarsi capolista alle comunali conferma che i sondaggi che ha in mano lui sono gli stessi che conosciamo tutti, che il candidato del Terzo polo può rubare molti voti al sindaco uscente, che la Lega è un alleato insidioso, che è molto difficile trascinare al ballottaggio un elettorato deluso o indifferente. […] Però lo squilibrio delle risorse in campo con la Moratti è evidente e devastante, e forse qualche sforzo in più (di soldi, di mobilitazione, di passaparola, ma soprattutto di soldi) si potrebbe fare.
[…] In termini di peso specifico la vittoria sotto la Madonnina conta molto di più di mille mobilitazioni di piazza, di convention, girotondi, fiaccolate, raccolte di firme. Speriamo che il Pd se ne accorga.

Al di là di tutte le considerazioni simboliche sulla capitale economica ecc. ecc., di cui non mi interessa assolutamente nulla, chiunque conosca un minimo come funziona la Lega, provi a immaginare la reazione di Umberto Bossi alla sconfitta di un candidato berlusconianissimo come la Moratti, con Berlusconi in lista, nella capitale del berlusconismo.

Personalmente, mi immagino qualcosa di molto simile a questo:

Il potere della Lega, da ormai una quindicina d’anni, sta nelle amministrazioni locali, nel consolidamento di un blocco sociale, politico ed economico in alcune specifiche aree del nord. Se la Lega perdesse Milano, in un momento in cui ha il vento in poppa ed è frenata solo dal nodo scorsoio che la lega a Berlusconi, quanto ci metterebbe a liberarsi? Il federalismo è stato approvato: ciao ciao governo, ciao ciao Silvio, si va alle elezioni.

Ecco, al di là di ogni considerazione politico-programmatica (personalmente in questo momento non credo che un’eventuale nuova stagione di centrosinistra al governo farebbe faville), da un punto di vista puramente strategico, se io fossi un dirigente del centrosinistra, in questo momento, metterei tutti le forze e i soldi che ho su Milano, e proverei a portarla a casa. Se volessi veramente far cadere Berlusconi.
Dato che ciò non succede, e che Pisapia sembra far campagna da solo e senza un euro, ci sono tre possibilità, su cui interrogo i lettori di Malingut:

  1. sono uno scemo e ho scritto una serie di puttanate enormi;
  2. i dirigenti del Pd sono cretini;
  3. i dirigenti del Pd non vogliono far cadere Berlusconi.

Via alle telefonate…


Alea Facta est

marzo 6, 2010

Qui non ci si scandalizza tanto sul fatto che possano essere riammesse la candidature del Pdl a Roma e di Formigoni in Lombardia. Sia il Pdl a Roma sia Formigoni in Lombardia esistono, hanno un consenso, è assolutamente naturale che partecipino alle elezioni.
Ciò che non è assolutamente normale è che il governo faccia un decreto ad hoc per due casi specifici in modo da permettere al Pdl e a Formigoni di partecipare. Che l’amministrazione di questa Repubblica decida che se non consegnano le firme i Radicali o il Pcl amen, ma al Pdl ciò non può accadere. Non può, proprio non è possibile. Perché il Pdl in sostanza esiste, e anche se non ha dimostrato formalmente di farlo, non si può impedirgli di presentarsi alle elezioni.
Questo argomento avrebbe perfino una sua logica per il sottoscritto, che delle regole formali della democrazia liberale (per cui tutti i partiti sono alla pari fino al voto e solo il momento del voto segna i rapporti di forza tra loro) se ne frega e, da democratico vero e quindi gramsciano e tutt’altro che liberale, sa benissimo che i partiti esistono e hanno un consenso anche fuori dalla campagna elettorale, e che le elezioni non sono altro che la certificazione amministrativa di rapporti di forza stabiliti altrove, nella costruzione di consenso sociale.
Se non ce l’ha è semplicemente perché io qualche raccolta firme elettorale l’ho fatta, per dare una mano ai vari partitini di sinistra, quando ce n’è stato bisogno. Mi sono fatto le mie ore di sfrantecamento di coglioni davanti alla Coop fermando le vecchie per convicerle che “sì, siamo una lista di giovani, sì sì bravi cristiani, signora, se mi lascia una firma le giuro che poi mi taglio i capelli, sì, me la lasci pure la medaglietta della Madonna, basta che prima firmi qua”. So quanto sia difficile e sia però allo stesso tempo necessario, necessario soprattutto, nell’Italia contemporanea in cui i partiti fuori dalle campagne elettorali praticamente non esistono, a dispiegare quella minima forza di militanza che è richiesta come dato minimo a un’associazione privata per potersi dire partito e quindi espressione di un interesse collettivo e tendenzialmente generale.
Se non raccogliete le firme, insomma, potete pure avere il 30 e rotti per cento di voti, ma non siete un partito, siete un simboletto su cui milioni di zombie hanno messo una croce dopo essere stati lobotomizzati per anni dal vero leader del Pdl.
Quindi: ‘sto cazzo. Non raccogli le firme? Non corri, fanculo.

Però hanno fatto il decreto. Chiariamo: qui non si è mai creduto che il finale potesse essere un altro. È evidente che ciò che è successo a Roma e Milano non è casuale, è evidente che c’è una guerra interna al Pdl, è evidente che qualcuno ha voluto dare un segnale a Berlusconi. Però, appunto, di segnale si trattava, niente di più. “Guarda che possiamo anche impedirti di partecipare alle elezioni”, stop. L’eventualità che Penati, Agnoletto e Pezzotta si contendessero la presidenza della Lombardia (che, tra l’altro, sarebbe diventata un posto normale, con, rispettivamente, una destra, una sinistra e un centro normali) non è mai stata all’ordine del giorno.

Il sottoscritto, inoltre, non ne può più di questo genere di allarmi democratici a getto continuo, con cui il popolo italiano, a forza di editoriali sferzanti di Ezio Mauro, viene assuefatto allo stato d’eccezione ed anestizzato a qualsiasi reale contenuto, distraendosi con la telenovela del golpe quotidiano da ciò che sta realmente accadendo in Italia e nel mondo.

Epperò qui qualcosa va detto. Hanno fatto un decreto. Dico: un decreto. Non una circolare ministeriale e non una legge. Un decreto. Il governo si è arrogato il diritto di cambiare la legge elettorale a campagna in corso. Qua si stanno veramente dando i numeri.
Questo non si può fare, come si legge nell’articolo 15 della legge 400 del 1988:

2. Il Governo non può, mediante decreto-legge: […]
b) provvedere nelle materie indicate nell’articolo 72, quarto comma, della Costituzione;

E il quarto comma dell’art. 72 della Costituzione recita:

La procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale e per quelli di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi.

Insomma: non si possono fare decreti sulle leggi elettorali. La ragione sembra superficiale: trattandosi di materie particolarmente delicate, è bene che se ne discuta pubblicamente in parlamento. Ma in realtà c’è un dato più profondo e importante: un decreto non è una legge non solo perché è approvato dal governo invece che da parlamento, ma anche e soprattutto perché ha una scadenza. Ha validità di legge per 60 giorni, poi ciao: o il parlamento lo converte in legge, o decade.
È chiaro come questo renda lo strumento del decreto incompatibile con la materia elettorale: dato che un decreto può essere approvato solo in casi straordinari di comprovata necessità e urgenza, in materia elettorale ciò può accadere solo in prossimità delle elezioni (altrimenti non c’è l’urgenza). Ma se siamo in prossimità delle elezioni, vuole dire che la conversione in legge avverrà dopo il voto. E, nel caso non dovesse avvenire? Il decreto, secondo la Costituzione, perde d’efficacia fin dall’inizio. Cioè la legge secondo cui si è votato non è più valida. Ecco. Questo casino, hanno appena fatto. Hanno reso provvisoria una legge elettorale. Andremo a votare secondo una legge provvisoria. Che tra 2 mesi potrebbe essere annullata, con valore retroattivo.

Mi pare chiaro che ciò segni il definitivo sputtanamento del concetto di elezioni e dell’apparato politico che da esse è riceve il mandato. Non si torna più indietro, il dato è tratto e l’utile idiota alla Napolitano si trova sempre. Questo avviene quando i poteri reali di una società, dopo essersi serviti di un regime per fare i loro porci comodi, decidono che non serve più. Che può andare tutto a puttane. Che questa Seconda Repubblica deve essere lasciata affondare nel pozzo di letame in cui è affogata la prima. R I P.


Il tempo delle mele

ottobre 9, 2009

Dopo un paio di giorni qualche idea sulla bocciatura del Lodo Alfano me la sono fatta, quindi provo a buttarla giù.

Primo: Berlusconi doveva dimettersi? Secondo me sì, ed è ovvio. Dire che non doveva dimmettersi perchè non ci sono ragioni di leggittimità politica, è una cazzata (passatemi il termine, se lo dice Francesco Costa posso dirlo anch’io).

A me fa un po’ ridere questo formalismo, che dice che se non ti votano contro in Parlamento allora tu sei legittimato. E allora perchè nel 2000 D’alema si è dimesso? Ma  è solo per fare un esempio, ce ne sarebbero mille di politici che hanno rassegnato le dimissioni anche se il Parlamento non ha votato contro. Si chiamo buonsenso politico. Solo che qui ci siamo abiutati a non averlo più, e un po’ ci va bene.

Poi Berlusconi avrebbe dovuto dimettersi giusto per un altro paio di motivi, tipo aver insultato la Corte costituzionale e il Presidente della Repubblica. Ma stiamo zitti, tanto siamo abituati. Poi avrebbe dovuto dimettersi per le cose che ha detto a Rosi Bindi, ma anche qui zitti.

Certo: se si andasse a elezioni oggi la sinistra perderebbe, e allora come dice il buon Francesco Costa, non c’è opportunità politica. E allora lasciamo che il premier faccia il bello e il cattivo tempo, che tanto poi noi il consenso non lo recuperiamo facendo giuste battaglie politiche, ma andando a raccogliere mele.

Insomma la questione è che Berlusconi non dovrebbe essere lì,  ma mica possiamo iniziare a dirlo adesso, che se non lo abbiamo detto fino adesso ci sarà un motivo, no?

Secondo punto: possiamo dire che anche in assenza di dimissioni di Berlisconi sia stata una vittoria politica? Si, possiamo dirlo, perchè anche se cerca di spiegare che il tutto aveva un significato politico ed era questo: Berlusconi voleva vedere se riusciva a conquistare anche la Corte costituzionale, per portare oltre ogni limite il suo cesarismo. Non c’è riuscito ed è questo che gli rode: il suo processo andrà in prescrizione, e lui può star tranquillo. Ma significa che in questo Paese qualcosa ancora sfugge al suo controllo.

Insomma per recuperare un po’ di consenso, per far tornare la gente a votare, forse bisognerebbe cavalcare le vittorie e  riprendere a fare qualche battaglia, a partire dalla legalità. Non che il tema mi affascina, eh, ma è l’unico tema che gli oppositori di Berlusconi sono riusciti a imporre, grazie a di Pietro, e che oggi è sentimento comune di tutta la sinistra (tanto per dirne una vedi il successo del Fatto).

Ieri parlavo con un militante del PCI, uno di quelli che si sono iscritti nel 1943, per dire. Ricordando i tempi passati, lui, lui che è organico al PD di qualsiasi dirigente, in maniera molto colorita diceva che quelli che non erano in aula a votare contro lo scudo fiscale “andrebbero fucilati, perchè un operaio può sbagliare, ma tu che sei in Parlamento no.”

Non si preoccupi Francesco Cundari. Questo signore non fucilerà nessuno e continuerà a votarli per il resto dei suoi giorni. Ma forse qualche problemino c’è.


Domandone

ottobre 8, 2009

Scusate, ma ora cosa succede? Niente niente? Va meglio, peggio?


Però si è ridemensionato

settembre 16, 2009

Alla fine Silvio si è un po’ ridimensionato: prima sosteneva di essere il migliore presidente del consiglio in 150 anni di storia, ieri da Vespa si è fermato agli ultimi 60 anni.


Tanto gli porta voti

settembre 10, 2009

“Tanto gli porta voti”. Una delle espressioni che va per la maggiore e che più non sopporto. Ovviamente l’espressione si sente nei confronti di Silvio Berlusconi, ogni volta che combina una di quelle, che con la moda del momento, si possono chiamare gaffe.

Allora. Secondo me questa è una balla. Per carità, il paese è cambiato, lo dice Silvio stesso, e ci mancherebbe altro. Per me è cambiato in peggio, siamo più avezzi alle schifezze, accettiamo leggi porcate, la tv ci ha un po’ addormentato (un po’, eh).

Però, da questo a dire che dare del Kapò a uneuroparlamentare, frequentare escort, fare battute idiote sempre e comunque, insultare chi non la pensa come te ecc. ecc. porta voti, secondo me ce ne passa. Insomma. Abbiamo avuto un luglio in cui abbiamo potuto gustarci la capacità nordcoreana con cui Minzolini ha diretto il tg1, riuscendo a censurare tutto e più di tutto. Se gli portava voti, immagino sarebbe andata diversamente.

Poi per carità, come dice Gilioli, mica nego che c’è chi lo stima davvero perchè frequentava una minorenne. Ma quelli sono una minoranza. Insomma, quando Berlusconi combina qualcosa di grosso, state per sicuri. Non gli fa guadagnare voti.

Qual è il problema allora? Beh, prima di tutto, smettere di dire “tanto gli porta voti” può essere un ottimo modo per riprendere un minimo di fiducia in se stessi, cercare di scardinare la sindrome della sconfitta di cui ormai il centrosinistra italiano è completamente malato.

Il punto continua a essere, evidentemente un altro. Se controlli quasi tutti i mezzi d’informazione, fidatevi, puoi fare qualsiasi cosa, ma poi se lo raccontano in maniera diversa, nulla ti farà perdere voti. E poichè la maggior parte delle persone si nutre solo dei panini dei tg, tutto continuerà a portargli voti, a meno che non ci si metta nel proprio piccolo, a spiegare come stanno le cose, a creare alternative. Perchè l’altro punto è che non ci sono alternative. Non dico solo di governo (Fassino ha addirittura proposto di sostenere Galan, per dire). Ma neanche a destra. E dove le alternative ci sono, la gente che non è attratta dalla sinistra, ma non è contenta di Berlusconi vota altro. Come in Veneto. Come in Sicilia.

Già forse per Berlusconi è iniziata la fine di un’era. Solo che bisogna vedere se il declino durerà quanto l’ascesa, o se sarà improvviso. Di certo, la mancanza di alternative non è un buon punto da cui partire.


Rivelazioni

settembre 9, 2009

Dopo le dichiarazioni di Tarantini, in cui afferma che portò anche Manuela Arcuri ai festini del Premier, diventano clamorosamente più chiare queste vecchie dichiarazioni dell’attrice.


Cosa mi fa paura

settembre 4, 2009

La cosa più inquietante è il generale che ride.


Anche se non fa più notizia

settembre 3, 2009

Si, ormai ci siamo abituati, ma siccome è meglio non abituarsi troppo ve lo racconto: al tg1 di oggi, dopo circa un quarto d’ora di servizi, e subito dopo la notizia del finto prete che soggiornava a scrocco a Castelgandolfo, Giorgino ha finalmente dato la notizia che in questo momento corriere e repubblica danno come seconda in home page (subito dopo la news delle dimissioni di Boffo): la risposta di Barroso a Berlusconi sulla polemica sui portavoce. Solo che, come potete immaginare, la notizia è stata data più o meno così: “Barroso conferma la fiduca nei portavoce ecc. ecc.” Ovviamente nessun riferimento alla causa che aveva costretto Barroso a questa uscita.


Chiesa o stato?

settembre 2, 2009

Nei commenti a questo post si è discusso se l’attacco all’Avvenire si trattasse di un attacco alla Chiesa o alla stampa. Stavo per intervenire, ma rilancio con un post, dato che che ho una posizione mutevole e magari si imbastisce qualche altra discussione. Inizialmente io ero convinto che si trattasse di un attacco alla stampa. E sicuramente lo è. Però prima di tutto secondo me è un attacco contro tutti e tutti, e quindi anche contro la Chiesa. Contro qualsiasi entità che cerca di limitare il potere, non ho ben capito se del governo tutto o solo di Berlusconi.

Insomma: se si vuole attaccare la stampa, lo si fa, come si è fatto. Però prima di attaccare il giornale dei vescovi, uno due conti se lì fa, specie se un suo alleato due giorni prima ha attaccato ferocemente la Chiesa, arrivando a minacciare di rivedere il concordato.

Ripeto: se un arriva ad attaccare il giornale della CEI secondo me il segnale è uno: si sente assediato, e per sopravvivere va al contrattacco. Ne vedremo delle belle secondo me nei prossimi giorni. Con repubblica che ha iniziato, per bocca di Sofri, a chiedere le dimissioni di Berlusconi e con Prodi che timidamente inizia a farsi rivedere.